Luglio 28, 2025
I “dehors” o “plateatici” non sono semplici aree esterne attrezzate accessorie all’attività economica, né elementi marginali del paesaggio urbano: rappresentano veri e propri tasselli identitari delle città, luoghi di presidio della cura collettiva, componenti qualitative della res pubblica. Quando affidati a soggetti in grado di valorizzarli, i dehors si trasformano in strumenti di rigenerazione urbana, capaci di creare spazi di socialità, legalità e bellezza condivisa.
È proprio per questa ragione che, tradizionalmente, la loro gestione è riservata ai Pubblici Esercizi – bar, ristoranti, caffè e simili – i quali, per modello organizzativo e cultura d’impresa, possono garantirne un uso corretto e qualificato. Non solo attraverso investimenti economici, ma anche grazie alla formazione del personale, alla manutenzione e all’attenzione di un corretto inserimento nell’ambiente in cui si inseriscono.
Lo spazio attrezzato all’aperto diventa così un’estensione della vita quotidiana: illumina le strade, anima le piazze, accoglie residenti e visitatori, rende più sicuri e vissuti i quartieri. È luogo di convivialità, di inclusione generazionale, di educazione al divertimento. Uno spazio presidiato, ordinato, accessibile. Nei luoghi in cui i dehors mancano, o dove si perde la distinzione tra chi è autorizzato alla somministrazione di cibi e bevande e chi non lo è, si assiste alla diffusione di comportamenti disordinati, fenomeni di abusivismo e degrado urbano. È dunque una scelta coerente e necessaria – oltre che pienamente legittima sul piano normativo – quella di riservare ai soli Pubblici Esercizi l’installazione e la gestione dei dehors.
L’art. 3, comma 1, lettera f-bis e l’art. 4, comma 2-bis del D.L. n. 223/2006, conv. con modif. dalla L. n. 248/2006, stabiliscono che gli esercizi di vicinato alimentare e i panificatori possono consentire il consumo immediato dei propri prodotti solo all’interno dei locali e con gli arredi dell’azienda, senza alcuna forma di servizio assistito. Alla luce di tale definizione, sarebbe incoerente assimilare lo spazio pubblico – anche se concesso temporaneamente in uso – ai locali dell’attività.
Consentire agli artigiani o esercizi di vicinato di disporre tavoli e sedie sul suolo pubblico equivarrebbe a trasformare indebitamente la natura stessa della loro attività – che resta quella della produzione o vendita per asporto – in una vera e propria attività di somministrazione.
Rischierebbe di generare gravi distorsioni del mercato e una pericolosa forma di concorrenza sleale: verrebbe, infatti, consentita una sosta prolungata ai clienti, vanificando la permanenza estemporanea (consumo immediato) stabilita dal legislatore, eludendo i requisiti strutturali, igienico-sanitari e organizzativi previsti dalla legge. Verrebbero favorite forme di improvvisazione commerciale, suscettibili di produrre maggiori diseconomie per la collettività in danno ad un comparto più strutturato e regolamentato, con un conseguente riduzione degli standard di servizio. In un settore ad alta intensità di lavoro e di valore sociale come quello dei Pubblici Esercizi, tutelare le condizioni di equità concorrenziale dovrebbe essere una priorità per la collettività.
Tanto più facile da realizzare se si considera che nell’ordinamento italiano non esistono ostacoli per queste categorie di espandere legittimamente il proprio ambito operativo: chi desidera svolgere anche un’attività di somministrazione, può farlo semplicemente presentando SCIA o richiedendo un’autorizzazione nelle zone tutelate (art. 64, D.Lgs n. 59/2010).
Anche la giurisprudenza amministrativa ha confermato la correttezza di questa impostazione. I giudici hanno più volte riconosciuto la legittimità dei regolamenti comunali che riservano ai soli Pubblici Esercizi la possibilità di ottenere concessioni di suolo pubblico per finalità di somministrazione, chiarendo che non vi è contrasto con i principi di liberalizzazione del commercio. La libertà di impresa, d’altro canto, non implica automaticamente il diritto di occupare spazi pubblici (TAR Puglia, sent. n. 1346/2011).
La progettazione e, quindi, l’uso dello spazio pubblico non è una semplice concessione ma un’assunzione di responsabilità da parte dell’impresa per la valorizzazione di uno spazio della collettività. E’ facile quindi comprendere come mai l’art. 26 della Legge per il mercato e la concorrenza 2023 (L. n. 193/2024) ha conferito al Governo la delega per adottare, entro il 18 dicembre 2025, un decreto legislativo finalizzato a riordinare e coordinare le disposizioni di riferimento concernenti la concessione di spazi pubblici di interesse culturale o paesaggistico alle imprese di pubblico esercizio – riferendosi dunque unicamente a tali tipologie di imprese -semplificando il relativo regime autorizzatorio e ridimensionando la discrezionalità delle soprintendenze. Si auspica che questa sarà l’occasione per costruire un quadro regolatorio più moderno, in grado di promuovere un modello di città più vivibile, una risposta concreta al bisogno di progettazione, sicurezza e socialità che attraversa i nostri tempi.
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