Luglio 1, 2025
In un mondo che cambia il contesto rimane incerto
Il mondo è cambiato in modo significativo negli ultimi quattro anni. Alcune delle questioni che ci preoccupavano di più nel 2021, tra cui l’inflazione troppo bassa per troppo tempo, hanno preso una piega piuttosto diversa. Non solo abbiamo assistito a un’impennata dell’inflazione, ma anche ad alcuni aspetti strutturali fondamentali della nostra economia e del contesto inflazionistico stanno cambiando: la geopolitica, la digitalizzazione, il crescente utilizzo dell’intelligenza artificiale, la demografia, la minaccia alla sostenibilità ambientale e l’evoluzione del sistema finanziario internazionale. Tutti questi fattori suggeriscono che il contesto in cui operiamo rimarrà altamente incertoe potenzialmente più volatile. Sono parole di Christine Lagarde, presidente BCE, durante la conferenza stampa di oggi (30 06 2025) tenutasi a Sintra, Portogallo, sulle Strategie di Politica Monetaria della BCE. E in questo contesto si inseriscono le tensioni commerciali, alimentate dai dazi voluti da Trump, le guerre in corso e gli attriti geopolitici
Imprese, tra prudenza e competitività
Da una parte, si conferma una certa prudenza delle imprese, soprattutto nel settore industriale, come indicato da Ufficio studi di Confindustria: a giugno la maggioranza degli imprenditori italiani prevede una sostanziale stabilità della produzione, con un leggero aumento degli operatori che si attendono una contrazione. Tuttavia l’Italia supera la Germania, la Francia e la Spagna per produttività, ma è seconda in UE per andamenti di fatturato e occupazione. Secondo i dati presentati la settimana scorsa a Genova da Unioncamere, le medie imprese industriali, in particolare, confermano il loro ruolo di traino per il manifatturiero, con un previsto aumento del giro d’affari del 2,2% per il 2025. Tuttavia, emergono criticità legate alla concorrenza low-cost e agli impatti dei dazi commerciali, elementi che rischiano di frenare la competitività soprattutto verso mercati esterni come Stati Uniti e Cina.
Inoltre, secondo i dati Istat, come accaduto per la produzione industriale due settimane fa, anche il fatturato della manifattura (Istat) è in crescita in aprile, con un progresso dell’1,5% rispetto al mese precedente e dell’1,1% rispetto ad un anno fa. Sono dati che danno l’idea di un consolidamento positivo, pur non essendo numeri straordinari.
E, secondo Istat, le imprese italiane mostrano una crescita dell’indice di fiducia generale per il secondo mese consecutivo, eccezion fatta per il settore del commercio al dettaglio.
Fiducia, commercio e inflazione
Il dato sul clima di fiducia “è lo specchio -scrive Mariano Bella, direttore dell’Ufficio Studi di Confcommercio - di una situazione che, pur mostrando segnali di vitalità anche in settori come il manifatturiero da tempo in difficoltà, risente dell’elevata incertezza che caratterizza il quadro internazionale. Il modesto peggioramento del sentiment delle famiglie si inserisce in questo contesto, ed appare più legato a timori personali che al peggioramento del quadro congiunturale, visto in miglioramento con possibili effetti positivi sul mercato del lavoro". Nel frattempo, l'inflazione italiana (Istat)registra a giugno una leggera accelerazione, attestandosi all'1,7% rispetto all'anno precedente. Lo scostamento è minimo dell’0,1%. Più allarmante è il dato sul "carrello della spesa", cresciuto del 3,1%, a dimostrazione del persistente impatto sui beni di consumo quotidiani. Inoltre, il recente rapporto Istat Conto trimestrale delle Amministrazioni pubbliche, reddito e risparmio delle famiglie e profitti delle società, primo trimestre 2025, segnala una maggiore difficoltà per le amministrazioni pubbliche a bilanciare entrate e uscite, con un indebitamento crescente. Tuttavia, il potere d’acquisto delle famiglie sembra mostrare una resilienza positiva.
Altresì, rimanendo nell’ambito del commercio, segnala Confcommercio, nel 2024, l’Italia ha registrato un saldo negativo di 6.459 punti vendita moda, con una media di 18 negozi al giorno scomparsi dal tessuto commerciale nazionale. Si tratta di una desertificazione commerciale progressiva e strutturale, che negli ultimi 5 anni ha causato la perdita di oltre 23.000 negozi e 35.000 posti di lavoro”.
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